Potreste chiedervi cosa ci fa una rubrica del genere in un sito di ginecologia. Beh, intanto si tratta proprio di una rubrica “di genere”, che raccoglie i pensieri e le parole di grandi donne, note e meno note, del passato e del presente, che possono ispirare la nostra vita e le nostre azioni.
L’intenzione è di uscire dal linguaggio medico e di comunicare in modo più ampio.
Sono una donna medico, e fin da piccola ho avuto la sensazione e poi la consapevolezza delle ingiustizie del mondo. A cominciare da quelle che subiscono le donne. Oggi nel mondo si moltiplicano le iniziative per smantellare i sistemi di oppressione e di violenza contro le donne, ma molti diritti sono ancora negati e molte conquiste ottenute con grande fatica sono continuamente rimesse in discussione.
Un plurisecolare apparato “educativo e culturale” si traduce in trattamenti discriminatori e in una comunicazione mediatica che continua a oggettivizzare i corpi delle donne e a calpestare la loro dignità. Ancora troppo spesso la femminilità nei media viene associata alla bellezza e all’erotismo, a volte perfino alla volgarità; mentre l’intelligenza e l’autonomia delle donne restano minoritarie nella narrazione generale. Ciò dimostra quanto sia indispensabile l’esistenza di un movimento, di più movimenti delle donne che, con le loro istanze critiche e propositive, risultino politicamente efficaci.
Per me, essere donna medico oggi significa praticare una medicina di genere, in cui integro la scienza medica con conoscenze e strumenti meno convenzionali legati alla salute e non solo. Significa prendermi cura della donna che ho di fronte. L’ascolto attento e il colloquio prima della visita creano le basi di un rapporto di fiducia e di “premura”, fondamentali per la riuscita del percorso terapeutico che si vuole affrontare. La cura si sposta quindi dall’idea riduttiva della terapia e si orienta verso la presa in carico della donna nella sua globalità di persona. Questo è il modo di lavorare che mi interessa oggi. Per esempio smantellando i tabù che circondano il periodo della menopausa e dell’invecchiamento, secondo i quali la donna tramonta e finisce.
Al contrario, il periodo menopausale diventa una tappa da cui cominciare a prendersi cura di sé. Mi piace pensarlo come un’opportunità biologica per la donna, che deve ascoltare questa fase di cambiamento, e pensare insieme a lei quali strategie possano essere messe in campo per attraversarla in modo attivo e positivo, anche in previsione di una longevità serena e dignitosa, quella che il sistema legislativo e sanitario non sono ancora in grado di tutelare.
E poiché parliamo di massimi sistemi, inauguro questa rubrica con una citazione tratta da una delle mie scrittrici preferite.
“Vogliamo un mondo in cui ci sia bellezza, non solo quella che si può apprezzare con i sensi, ma anche quella che si sente con un cuore aperto e una mente lucida. Vogliamo un pianeta incontaminato, protetto da qualsiasi forma di aggressione. Vogliamo una civiltà equilibrata, sostenibile, basata sul rispetto tra di noi e nei confronti delle altre specie e della natura. Vogliamo una civiltà inclusiva ed egualitaria, senza discriminazioni di genere, razza, classe, età o qualsiasi altra classificazione ci separi. Vogliamo un mondo gentile in cui regnino la pace, l’empatia, l’onestà, la verità e la compassione. E in più di ogni altra cosa vogliamo un mondo allegro. A questo aspiriamo noi streghe buone. Ciò che desideriamo non è una fantasticheria, è un progetto; insieme possiamo realizzarlo”.
Isabel Allende, Donne dell’anima mia